STALKING – ANCHE LE CONDOTTE “INDIRETTE” QUALIFICANO IL REATO

Cass. pen., Sez. V, Sent., 08/07/2022, n. 26456 – STALKING – ANCHE LE CONDOTTE “INDIRETTE” QUALIFICANO IL REATO

Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di un imputato per i reati di atti persecutori, commessi ai danni di due persone; mentre, in riforma della decisione di condanna di primo grado, ha assolto l’imputato dal reato di atti persecutori commesso a danno di un terzo soggetto, revocando le statuizioni civili. La pronuncia assolutoria si basa sulla ritenuta assenza del requisito della reiterazione della condotta molesta.

Avverso l’indicata sentenza ricorrono l’imputato personalmente, nonchè la parte civile tramite il proprio difensore e procuratore speciale.

L’imputato invoca le circostanze attenuanti generiche.

4. La parte civile propone un unico motivo con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606  c.p.p., comma 1, lett. b), l’erronea applicazione dell’art. 612 bis  c.p..

La ricorrente premette che la comprensione della vicenda impone di considerare i fatti pregressi, occorsi nel 2011, che hanno portato alla condanna dell’imputato alla pena di anni quattro di reclusione per il reato di atti persecutori commessi ai danni della parte offesa allora quindicenne, la quale era stata indotta a tentare il suicidio il 17 luglio 2012.

Evidenzia come, dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, emerga la reiterazione delle molestie, attuate dall’imputato attraverso: messaggi e telefonate; il palesare il proprio “ritorno” comparendo sulla pagina Facebook della persona offesa con un like e una richiesta di amicizia; il contatto indiretto tramite una ragazza, amica intima della parte offesa; il progredire delle molestie e minacce in episodi ulteriori verificatisi nel 2018 e oggetto di denunce acquisite agli atti.

Il ricorso dell’imputato viene dichiarato inammissibile mentre il ricorso della parte civile fondato.

Il ricorso proposto dall’imputato è inammissibile ai sensi dell’art. 571  c.p.p., comma 1, e art. 613  c.p.p., comma 1, in quanto sottoscritto personalmente dall’imputato e non da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione.

Merita accoglimento, invece, il ricorso proposto, agli effetti civili, dalla parte civile, in relazione alla pronuncia assolutoria per il capo B).

Nel capo B) si contesta all’imputato il delitto di cui all’art. 612 bis  c.p., “perchè (…) dopo avere scontato la pena a lui applicata per aver posto in essere nell’anno 2011, nei confronti della parte offesa, condotte di stalking in seguito alle quali la predetta aveva tentato il suicidio (17 luglio 2012), la molestava nuovamente contattandola sul social network Facebook, e contattando altresì la sua amica con messaggi di testo e vocali whatsapp che la riguardavano, e che la ragazza riportava alla vittima, raccontandole del tentato suicidio dell’amica asserendo di non esserne la causa, tanto che la vittima tornava a vivere in un continuo stato d’ansia, con attacchi di panico (cfr. certificato PS del 2 giugno 2017 “malessere con tachicardia e pallore cutaneo – algia sottoscapolare destra intermittente, paziente nota per attacchi di panico in terapia domiciliare”. Fatti commessi tra il 16 maggio 2017 e il 31 maggio 2017″.

La pronuncia assolutoria si basa sulla ritenuta assenza del requisito della reiterazione delle molestie, in quanto la condotta tenuta dall’imputato nei confronti della vittima si sarebbe “risolta in un unico atto, consistito nel mettere un like ad una foto postata sui social network dalla ragazza”.

Secondo la Corte di appello quell’unica condotta ha sì assunto un carattere di estrema gravità – ingenerando nella persona offesa un grave e perdurante stato di ansia e di paura, nonchè il fondato timore per la propria incolumità – purtuttavia è “isolata” e come tale inidonea a integrare la fattispecie tipica di cui all’art. 612 bis  c.p., che richiede la reiterazione delle molestie.

Non rilevano, invece, nè i contatti avuti dall’imputato con l’amica della vittima che hanno dato vita un’autonoma fattispecie delittuosa ai danni della destinataria diretta; nè le molestie e minacce collocate nel 2018 (che hanno formato oggetto di ulteriori denunce) perchè estranee al perimetro temporale circoscritto dal capo di imputazione.

E’ vero che il delitto di atti persecutori, in quanto reato necessariamente abituale, non è configurabile in presenza di un’unica, per quanto grave, condotta di molestie e minaccia, neppure unificando o ricollegando la stessa ad episodi pregressi oggetto di altro procedimento penale attivato nella medesima sede giudiziaria, atteso il divieto di bis in idem (Sez. 5, n. 48391 del 24/09/2014, C, Rv. 261024).

Tuttavia la decisione adottata dal giudice di secondo grado è erronea laddove espunge dal novero delle condotte in rilievo quelle “indirette” tenute nei contatti avuti con la ragazza amica della vittima, chiamando in causa anche la vittima medesima. La ricostruzione del fatto, operata dai giudici di merito, è conforme a quanto descritto nell’editto accusatorio:

– l’imputato ha apposto un like (“mi piace”) su una foto postata dalla persona offesa sulla propria bacheca Facebook (condotta attraverso la quale l’imputato mirava a far sapere alla vittima della sua precedente persecuzione di essere tornato in libertà dopo aver scontato la condanna e di tenerla, nuovamente, sotto controllo);

– l’imputato ha tenuto delle conversazioni indesiderate (attraverso l’invio di messaggi di testo e di whatsapp vocali) con ragazza amica intima della vittima nel corso delle quali, oltre a molestare la propria diretta interlocutrice, ha fatto espresso riferimento alla vittima, evocando, tra l’altro, il suo tentativo di suicidio.

3.4. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’assegnare rilevanza, ai fini della integrazione della condotta tipica prevista dall’art. 612-bis  c.p., anche alle molestie c.d. “indirette”.

Si è affermato che possono rilevare anche comunicazioni di carattere molesto o minatorio dirette a destinatari diversi dall’a persona offesa ma a quest’ultima legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l’agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (arg. da Sez. 5, n. 8919 del 16/02/2021, F.) Si è ribadito che l’evento, consistente nell’alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell’ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa (Sez. 6 n. 8050 del 12/01/2021, G., Rv. 281081 – 01 che ha ritenuto legittima la valutazione non solo delle minacce o molestie rivolte alla persona offesa dall’imputato, ma anche le minacce e le denunce calunniose proposte nei confronti del marito e del padre della persona offesa, in quanto si inserivano nell’unitaria condotta persecutoria; sul tema delle molestie indirette si veda anche Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282768).

La Corte di appello di Milano, nel ritenere insussistente il reato di cui al capo B), non si è attenuta ai principi sopra enucleati; ergo la sentenza impugnata deve essere annullata agli effetti civili limitatamente a detto capo di imputazione con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui va rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio.

La Corte di Cassazione pertanto annulla la sentenza impugnata agli effetti civili limitatamente al capo B) con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio.